Su Ernesto Diaz-Infante

0
476
La circostanza di essere entrato in contatto con il musicista Ernesto Diaz-Infante mi rende molto felice: messicano di origine ma improvvisatore residente a S.Francisco, Ernesto ha già una nutrita discografia partorita da metà anni novanta. La particolarità di questo musicista è la sua poliedricità avanzata, che opera in settori diversi della musica e che cerca comunque di porsi intelligentemente nel meglio che ognuno di essi esprime. Studiando all’Università di Santa Barbara presso il College of Creative Studies, Ernesto passò la maggior parte del tempo nella libreria musicale, studiando/ascoltando le partiture dei maggiori compositori del novecento: da Ives a Ruggles, da Vàrese a Cage, passando per Ligeti, Oliveros, Subotnick e Stockhausen, sebbene fosse interessato ad un approccio ancora più globale che tendeva la mano alle modernità della musica elettronica, della computer music e dei suoni orientali. Diaz-Infante ha effettivamente subito una metamorfosi rispetto agli esordi: egli si presentò alla comunità musicale con una propria etichetta discografica, la Pax Recordings, fornendo quasi l’immagine di un rappresentante Maya su “Itz’at” suonando il piano new age in uno stile semplice, catartico, poche note messe trasversalmente per condurre il tema di Pax Preludes e Mariposa Liviana, esperimento bissato l’anno successivo con “Tepeu” (che suona più romantico rispetto al minimalismo del primo) e “Ucross Journal“, un esibizione in una fondazione del Wyoming. A prescindere dal carattere non nuovo della proposta, il musicista però ha un suo umore, dannatamente piacevole; restava però il dubbio di essere di fronte ad un artista sensitivo ma non in grado di intraprendere percorsi improvvisativi virtuosi: il quarto album al piano in solo “Solus” sistemerà questo dubbio, poichè con un cambio di rotta qui il progetto è totalmente a favore di un free jazz con tecnica Tayloriana. Quella di “Solus” è la porta che si apre verso un denso periodo di improvvisazione libera in cui fa coppia spesso con Chris Forsyth e costruisce il cambio di strumento, dal piano alla chitarra, per il musicista: sebbene l’astrattezza della musica non sia ad un livello tale per evocare nessuna forma di jazz, l’esperienza reiterata con Forsyth gli dà la possibilità di arricchire il bagaglio di “preparazione” della chitarra acustica (in modo da risultare stilisticamente una via di mezzo tra Cage e Bailey), acquisire la notazione di Wadada Leo Smith e di suonare in molti gruppi satellite collaborando con il meglio della scena californiana jazz (Vinny Golia, Jeff Kaiser, Bob Marsh, Gino Robair etc.). Ma uno dei passi fondamentali è anche l’avvicinamento fattivo al noise e ai weird sounds (pescandone tracce di avant folk, psichedelia od oriental sounds). Uno dei più bei dischi del musicista californiano è “The long await between collasped lungs” con lo specialista del noise texano Pablo St.Chaos and Bohol, dove una bollente atmosfera racchiude gli sperimentalismi di Ernesto a varie chitarre preparate. Un noise edulcorato che riesce a trasmettere sensazioni e subliminalità. Così come innovativo si presenta il binomio chitarra-preparata/oboe grazie all’accostamento al compositore Kyle Bruckmann in un gruppo integrato da un trio di improvvisazione olandese “Grand Mal”. Interessanti nelle idee ma meno riusciti sono gli esperimenti musicali effettuati tramite la voce completamente priva di toni alla stregua di un Leonard Cohen completamente atterrato in una marea di strumenti autogestiti. Il punto più alto viene raggiunto nella raccolta che Diaz-Infante assembla in “Civilian Life” dove con una giusta scelta di strumenti preparati, effetti acustici, campi di registrazione dà vita ad una serie di quadretti di “art music” indiscutibilmente pronti per essere la colonna sonora di un’esposizione moderna di un museo o di forme contemporanee.
Gli ultimi tre episodi discografici lo vedono al top dell’espressività:
Emilio” è un condensato del suo campo d’azione: brevi sketches (32 brani) tutti di natura diversa ma che condividono la splendida stranezza che fuoriesce dall’approccio complessivo alla sua musica; completamente improntato alla microtonalità e alla percussività, Emilio fa risaltare quella tendenza che fa sì che con opportuni tocchi e preparazioni la chitarra suoni come un tam tam, che faccia pensare ad iniziazioni o macabre cerimonie o che detti il tempo che scorre.
La violoncellista Helena Espvall è partner perfetta in “A hallowed shell of ash and rust” e proietta l’ascoltatore nei meandri di un ambient music oscura ed affascinante costruita in forma improvvisativa: qui sono le amplificazioni degli strumenti che la fanno da padroni e una sottesa linea di variazioni elettroniche che non disdegna misteriose trame indiane o tibetane.
Registrato live al sesto anniversario del KSE in un teatro di Austin, “At the KSE 6th Anniversary Concert” presenta una parte live suonata in solitudine dal chitarrista con un bajo sexto, una chitarra messicana a 12 corde molto usata nella musica tradizionale messicana, una free form di circa diciannove minuti che ripropone l’universo improvvisativo smisurato di Diaz-Infante pieno di variazioni associative dove le essenze del suono vi portano da una chiesa sconsacrata ad una festa messicana, da un misterioso tic di orologio ad una ansiosa corsa metropolitana (in verità non ho mai sentito questo strumento suonare così). L’altra parte, condivisa con Lisa Cameron (lap steel ed alcune percussioni) e con Lee Dockery (basso upright elettrico e elettronica) è una suite di quelle che si avvicina a quella vena in bilico tra dronismo e psichedelia, e crea quel clima torbido in cui gli strumenti riescono ad incarnare situazioni recondite.
Non mi risulta che qui in Europa sia molto conosciuto, forse in Spagna dove in passato ha suonato: penso che, anche alla luce dei risultati raggiunti, sia arrivata l’ora di dargli un riconoscimento più ampio di quello già guadagnato.
Articolo precedenteStratosphere with Dirk Serries: In a place of mutual understanding
Articolo successivoDorothy Hindman: Tapping the furnace
Music writer, independent researcher and founder of the magazine 'Percorsi Musicali'. He wrote hundreads of essays and reviews of cds and books (over 2000 articles) and his work is widely appreciated in Italy and abroad via quotations, texts' translations, biographies, liner notes for prestigious composers, musicians and labels. He provides a modern conception of musical listening, which meditates on history, on the aesthetic seductions of sounds, on interdisciplinary relationships with other arts and cognitive sciences. He is also a graduate in Economics.